E’ da questo articolo di ottobre che non parlo del più importante indice americano, lo S&P500.

Se infatti leggerai quell’articolo (e ti consiglio vivamente di farlo, se ti interessa l’argomento), capirai la complessità del tema e quanti indicatori sono necessari per analizzarlo.

Quando un fenomeno è determinato da un numero elevato di variabili e può essere descritto da molteplici punti di vista per mezzo di tanti indicatori, non vale la pena seguirlo passo passo, perché inevitabilmente si finisce per essere indotti in errore.

Ora che sono passati 4 mesi da quell’analisi, posso fare un primo riesame obiettivo della situazione per vedere cosa è cambiato e quali sono le tendenze più probabili che si sono sviluppate nel frattempo.

Per cominciare, sono soddisfatto della previsione generale che avevo tentato di fare allora per quanto era possibile, ammettendo che la corsa ininterrotta al rialzo dello S&P500 era ormai alle nostre spalle e probabilmente avremmo assistito a un lungo declino dell’indice, inframmezzato da movimenti convulsi verso l’alto e verso il basso.

Avevo scartato l’ipotesi di un crollo rapido e ininterrotto stile 2008, perché, come vedrai in quell’articolo, gli indicatori “comportamentali” che tracciano le azioni e le aspirazioni della massa di investitori, dicevano (e tuttora dicono) che non eravamo (e non siamo) in una situazione di “bolla” prossima a scoppiare in cui tutti, compreso il benzinaio e l’avvocato della porta accanto (per citare esempi di categorie di persone non esperte di finanza) giocano in borsa e partecipano alla folle corsa verso l’alto di un indice.

Al contrario, adesso più di allora la gente non ha voglia di investire in borsa e quindi non ci sono affatto le condizioni per una drammatica fuga dallo S&P500 del “parco buoi” (la massa di investitori inesperti) capace di far crollare l’indice rapidamente e verticalmente.

Un altro dato interessante di quell’articolo era la posizione dello S&P500 rispetto alla media mobile a 50 giorni.

A ottobre infatti sembrava che lo S&P500 stesse per bucare la media mobile verso l’alto, compiendo un movimento simile a quello già fatto nel 2011 (i grafici in quell’articolo erano molto chiari a riguardo).

Dopo 4 mesi posso dire che in effetti un innalzamento dell’indice sopra la media a 50 giorni c’è stata a cavallo tra ottobre e novembre (vedi figura qui sotto. La media a 50 è la riga rossa) e spero che gli investitori accorti abbiano sfruttato questo momento di rialzo per vendere i titoli in guadagno prima del successivo ribasso (come avevo suggerito nelle ultime righe di quell’articolo).

media a 50

Ora, come vediamo ancora nel grafico qui sopra, siamo in una fase di profondo ribasso dell’indice, ma qui sono sorti degli importanti elementi nuovi. Ed è questo il motivo per cui ho deciso di riprendere l’argomento oggi.

Inizio col dire che entro i prossimi due mesi potremmo assistere a un temporaneo rialzo dello S&P500, come ci suggerisce il mercato delle opzioni sul VIX.

Oggi infatti il prezzo delle opzioni “put” (cioè a ribasso) dell’indice di volatilità (VIX) dello S&P500 è superiore del 60% rispetto al prezzo delle opzioni “call” (cioè a rialzo).

In pratica, gli investitori sono così convinti che la volatilità dello S&P500 è destinata a scendere (e quindi che lo S&P500 risalirà) che sono disposti a pagare il 60% in più per scommettere su questa ipotesi.

Di solito non mi eccita molto seguire il VIX e i movimenti di coloro che ci investono sopra, perché non se ne traggono che conclusioni banali e di breve durata.

Guardando ancora una volta il grafico sopra, dopo un ribasso così forte, viene naturale, seguendo il normale buon senso, prevedere un rialzo. E gli investitori del VIX non fanno altro che mettersi dalla parte dell’ovvio e del buon senso. Niente di così complicato da capire, dunque. Non varrebbe neanche la pena scriverci un articolo.

Ma ci sono altri indicatori che invece sembrano segnalare qualcosa di più profondo e inaspettato.

In Segnali di Borsa amiamo mettere in evidenza tutti gli indicatori che in un dato momento iniziano a mostrare dei valori insoliti e storicamente significativi.

Infatti, è in corrispondenza di questi segnali “estremi” che possono esserci i movimenti più forti e imprevisti capaci di fare la differenza tra le previsioni di un investitore “normale” e quelle di un investitore di grande esperienza.

Uno di questi segnali per lo S&P500 di oggi è la “Croce della Morte” (Death Cross), una formazione che avviene quando la media mobile a 50 giorni si incrocia con la media a 200 giorni e scende al di sotto di essa.

La Death Cross non è così frequente come si può pensare.

Nel grafico qui sotto, che mostra in giallo tutte le volte in cui lo S&P500 è andato in Death Cross, evidenzia che ciò è accaduto di rado, e spesso in corrispondenza dei più famosi crash di borsa degli ultimi 20 anni:

death cross

Se poi risaliamo di 40 anni fino al 1972, vediamo che andare long (a rialzo) sullo S&P500 nei periodi normali (Golden Cross Mode) ha dato un guadagno annualizzato del 9,5%, mentre andare long in corrispondenza di una Death Cross (Death Cross Mode), ha dato un guadagno dello 0,4%:

1972

L’ultima colonna a destra “% of Time in Mode” ci dice infine che la modalità “Death Cross” si è verificata in 40 anni solo il 30% delle volte. E tutte queste volte, i titoli sui cui si è investito long non hanno reso nulla.

Ora, reggiti forte, perché non hai ancora visto il peggio di questa situazione…

Infatti la Death Cross che si è formata ora sullo S&P500 non è una normale Death Cross!

In realtà la Croce della Morte di oggi è inserita in una formazione più ampia chiamata “Morte Rossa” (Red Death)…

Si ha Red Death quando un indice forma una Death Cross e CONTEMPORANEAMENTE scende al di sotto delle due medie mobili a 20 e a 40 settimane.

Negli ultimi 40 anni, se siamo stati in Death Cross solo il 30% delle volte, abbiamo avuto una Red Death solo il 17% delle volte, con un guadagno annualizzato negativo di -5%.

I guadagni annualizzati sembrano poca cosa (quello della Death Cross era dello 0,4% e quello della Red Death di -5%), ma in realtà comprendono veri e propri bagni di sangue, se consideriamo i singoli titoli e le singole transazioni avvenute in quel range temporale.

Dal 2012 non c’era stata una Red Death sull’indice americano. Ora siamo di nuovo a questo punto e dobbiamo essere preparati.

Bisogna anche dire che le condizioni di cui ho parlato prima restano invariate.

La borsa americana non è affatto in bolla, i prezzi dei titoli non sono ancora sovradimensionati in modo estremo, ma allo stesso tempo siamo in Red Death…

Cosa vuol dire questo?

Ancora una volta, dico che non ci sono le condizioni simili al crollo del 2008 o del 2000, ma ci sono le condizioni per dei ribassi importanti, magari analoghi a quelli ottenuti nei due crolli di borsa che ho citato, ma non abbastanza da far saltare il sistema finanziario in generale.

In un articolo di qualche tempo fa, il team di Segnali di Borsa ha descritto con precisione qual’è il settore di mercato che farà saltare tutto il sistema; e non si tratta dello S&P500…

Però chi investe nella borsa americana dovrà difendersi da questo probabile tsunami.

Nel nostro servizio ad abbonamento Strategie Portfolio abbiamo da tempo incluso nel portafoglio dei titoli difensivi in questo senso:

  1. un Etf che “shorta” lo S&P500 (che è già in guadagno, ma dovrebbe dare grandi soddisfazioni in caso di Red Death)
  2. due titoli auriferi e un titolo semi-aurifero (troppo complicato da spiegare cos’è) che costituiscono la più classica forma di investimento contro trend da usare in questi casi.

Sono proprio curioso di vedere questa volta cosa combinerà il Red Death e se stiamo per assistere a una nuova memorabile pagina di storia della borsa USA.

In questi casi, per godersi lo “spettacolo” in tranquillità è necessario investire dalla parte giusta del mercato, proprio come abbiamo fatto in Strategie Portfolio

Alla tua prosperità!

Il Team di Segnali di Borsa